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Prevenzione del bullismo e progettazione dell’ambiente scolastico

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L’interno di una scuola materna a Pechino, SAKO Architects.

 

Oggi sono arrabbiata. Come tutti i venerdì  dell’ultimo periodo, d’altronde.

Sono arrabbiata perché  è completamente inutile che io mi metta a parlare della progettazione di spazi a misura di bimbo e di come l’ambiente abbia la sua influenza sull’apprendimento, sull’umore, sul benessere e sulla sensorialità , ricettività ed in generale su tutte le capacità dei piccoli fruitori (comprese quelle di interazione e relazione con gli altri) se la cosa si ferma alla creazione di strutture ben progettate. Le strutture possono essere ben progettate solo se c’è collaborazione, studio, interscambio, lavoro di gruppo di professionalità  diverse, intenzionalità verso un obiettivo comune (in questo caso architetti, pedagogisti, educatori, insegnanti, gestori ed amministratori, giuristi, genitori e famiglie interessate)* che è l’educazione del bambino.

Prendiamo  ad esempio le scuole, sede principale delle dinamiche che coinvolgono i nostri figli.

Qui in Svizzera c’è una discreta attenzione all’ambiente scolastico ed all’armonia funzionale degli ambienti, sia che si tratti di scuole materne che di scuole di primarie. La maggior parte delle scuole sono belle, ristrutturate, ri-adeguate, ri-arredate e dotate di spazi consoni (le aule, la sala della musica, l’auditorium, la palestra, la sala della ricreazione, il giardino, le stanze degli esperimenti scientifici, le stanze del gioco, e così via). I colori utilizzati sono adatti alla funzione della stanza a seconda dell’età dei bambini, gli arredi non risalgono a 40 anni fa come nella maggior parte delle nostre scuole italiane, gli spazi-gioco sono inclusi all’interno della struttura (a sottolineare l’importanza del gioco, soprattutto nei primi anni), all’interno c’è la biblioteca scolastica ed anche spazi di ristoro. Le palestre sono ambienti rinnovati (grande importanza si dà qua in Svizzera allo sport ed al movimento), gli spazi esterni sono consoni, le strutture non crollano con un terremoto al quale dovrebbero resistere (anche se, per fortuna, in Svizzera non ci sono grandi terremoti), i metri quadri disponibili per ogni scolaro sono sufficienti, ben attrezzati e ben calibrati.

Sulla porta d’ingresso della scuola di mia figlia (primaria) è appeso un cartello con le “regole” d’uso dello spazio scolastico, sia interno che esterno (gettare i rifiuti nel cestino, rispettare il silenzio in cortile dalla tale ora alla tale ora, rispettare i comagni, ecc..), mentre nella hall , appena entrati, ci si trova di fronte ad un’intera parete con le fotografie di tutti gli scolari poste all’interno di cornici decorate e dipinte dai bambini stessi; sopra ai ritratti una scritta a caratteri cubitali indica:“Respekt hat viele Gesichte” (traduzione: “il rispetto ha molti volti”). Insomma, non molto di cui lamentarsi, almeno apparentemente. Sembra che tutto si svolga a regola d’arte.

Se a scuola i ragazzi rispettano le “regole”, tuttavia, il problema nasce poi fuori dalla scuola.

A otto anni (l’età di mia figlia) l’approvazione del gruppo è importante. Iniziano a formarsi i gruppetti, emergono i leaders ed i bulletti (o le bullette) fanno gli sciocchi per guadagnarsi il rispetto degli altri e testare il terreno su quanta approvazione riescono ad attirare attorno a sé . Gli altri seguono, a ruota, semplicemente perché insieme ci si sente più forti. Nonostante l’educazione scolastica indichi nel rispetto reciproco il cardine di tutto, fuori dalla scuola nulla cambia.

Allora mi chiedo: che senso ha un ambiente scolastico quasi idilliaco, misurato, ben progettato o rinnovato, dotato di spazi consoni e capaci di rispondere alle esigenze del ragazzo, di favorire il suo sviluppo fisico, emotivo, sociale e relazionale, se appena fuori dalla scuola il rispetto reciproco viene meno?

La “buona scuola” non è fatta soltanto di controlli, di insegnamenti, di regole impartite, di spazi adatti e di materie all’avangurdia, bensì  di educazione – emotiva, sociale e relazionale prima di tutto.

In Danimarca l’empatìa viene insegnata come materia scolastica, all’interno del programma di studi. Tutti insieme, una volta a settimana, si gioca e si affrontano temi che riguardano l’educazione emotiva ed il rispetto per l’altro, e che sviluppano le capacità sociali ed il senso di appartenenza alla comunità. Lo trovo un passo avanti eccezionale.

Per contrastare il dilagante fenomeno del bullismo quindi non basta agire esteticamente e programmaticamente sugli spazi progettati, ma occorrono azioni “di sistema” che prevedano un ripensamento dell’educazione scolastica, il coinvolgimento delle famiglie e dei genitori, il confronto e la formazione continua di insegnanti, famiglie, istituzioni, ammministratori, gruppi. La “buona scuola” non è soltanto una legge, un piano di investimenti, un’emergenza per risolvere la disoccupazione, ma dovrebbe essere un’azione combinata complessiva, in cui tutti sono attori e fruitori verso la creazione di un sistema educativo capace di far fronte ai problemi della società moderna. La progettazione dello spazio educativo viene di conseguenza, anzi, insieme a questo ripensamento generale, non è materia solo degli architetti (e soprattutto, non riguarda soltanto la predisposizione di nuovi ambienti digitali, né – soltanto – la messa in sicurezza delle strutture). Quindi è inutile pensare a progettare nuove scuole o a riadeguare le vecchie strutture, se non viene intrapresa questa operazione di gruppo, anche partendo da piccole iniziative private.

Come possiamo riuscire a creare un futuro migliore ai nostri figli, se non siamo noi per primi ad affrontare il problema e cercare soluzioni?

C’è  tanto, ma proprio tanto ancora da fare.

P.S. Mi hanno appena linkato questo articolo interessantissimo che parla di “frenemies” (amici-nemici). Ne vogliamo parlare?

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*Il principio cui faccio riferimento è quello di architettura partecipata, sebbene limitato alla sola fase preliminare della progettazione (e non nell’accezione completa che si conclude con la costruzione).

 

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